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trio

lo scuolabus


di melonius
20.03.2024    |    5.456    |    8 10.0
"Io separata, lui “uccel di bosco“, eterno latin lover cinquantenne molto appetito dalle donne, ma questo era evidente..."
Lo scuolabus

Come ogni mattina, mi alzo all'alba, inizio a lavorare presto, mi va bene se poi penso a quando ho fatto la fame dopo aver lasciato Guido, è meglio che non mi lamenti, almeno ora ho uno stipendio fisso.
Con lui ci siamo separati anni fa, ma ancora non mi ha concesso il divorzio, nonostante la responsabilità del naufragio del nostro matrimonio sia tutta sua.
Non aveva voglia di lavorare e si attaccava spesso alla bottiglia. Quando era ubriaco, almeno tre o quattro volte a settimana, diventava violento, spesso cercava di mi picchiarmi, ma io veloce scappavo fuori di casa senza farmi prendere.
Una volta aveva voluto a tutti i costi fare sesso, ma era talmente ubriaco che non gli si alzava, si era incazzato come una bestia dando la colpa a me che non ero abbastanza provocante e non ci sapevo fare.
Mi aveva presa per i capelli urlandomi parole di disprezzo cercando di sbattermi la testa contro il muro.
La mattina dopo avevo deciso che era ora di dire basta e appena lui uscì per andare alla sala scommesse con due amici peggio di lui, riempii due valigie con lo stretto necessario e andai a stare da Marina, l'unica amica che mi supportava e che conoscevo dall'infanzia.
Dopo alcuni mesi da lei, trovai un appartamentino in periferia, piccolo ma bastante per me e le mie poche cose.
Non avevo nulla a parte la mia macchinina e pochi soldini messi da parte ai tempi d'oro.
La vita era dura, il lavoro andava a singhiozzo e poco dopo la fabbrica dove lavoravo chiuse i battenti lasciandomi senza lavoro.
Quando terminò il sussidio di disoccupazione, dovetti adattarmi a qualche lavoretto di pulizie a domicilio, notti di assistenza agli anziani, qualche giorno di babysitter, tutto quello che mi capitava per poter pagare l’affitto e mantenermi.
Pensai addirittura di prostituirmi per poter raggranellare soldi... ma non era nella mia natura.
Ho visto parecchi film in cui la protagonista usciva dall'indigenza offrendo le sue grazie in cambio di denaro ma l’idea di doverlo fare con uomini viscidi, obesi, vecchi e bavosi mi aveva convitoche dovevo cercare altre strade.
Chiesi a tutte le persone che conoscevo, misi annunci nei negozi e nei siti di ricerca di lavoro, girai tutte le agenzie, ma non saltava fuori niente.
Finché un giorno, un'amica che lavorava in una cooperativa mi combinò un colloquio come assistente in una scuolabus o bus-monitor come chiamavano questo lavoro.
Mi presentai il ‪lunedì mattina‬. Le mansioni erano semplici: al mattino avrei dovuto accogliere i bambini che salivano sullo scuolabus per poi farli scendere davanti alla scuola, al ritorno il contrario, le ore erano poche, in due o tre turni spezzati, spalmati nella giornata, Mattina ‪7:30- 8:30‬ / ‪11:45- 12:45‬, e qualche pomeriggio dalle ‪16:30 -17:30‬. ‬‬‬‬
Accettai subito, era semplice, anche se gli orari mi impegnavano molto più tempo di quello che effettivamente lavoravo.
Il primo giorno di scuola presa dall'ansia di prestazione arrivai in anticipo al deposito e aspettai indicazioni. Arrivò il titolare e spiegò i compiti a tutti. Eravamo tre autisti e tre hostess, io venni abbinata a Giovanni, un bel tipo sulla cinquantina, capelli corti brizzolati come la barba, corta e curata e due occhi azzurri che gli davano un'aria da bel tenebroso, il nostro giro era il più lungo, perché copriva una tratta fuori dal centro, quasi in aperta campagna.
Iniziammo il giro, avevamo la lista dei ragazzi e il percorso era stato pianificato in modo da ottimizzare i tempi, tutto calcolato al minuto, "Vedrai che ci incasiniamo, secondo me non hanno ben calcolato i tempi, alcune fermate sono distanti una dall'altra, non so chi è quel fenomeno che ha impostato le tempistiche!" aveva detto Giovanni, sbuffando e così fu.
Nei giorni successivi per fortuna andò meglio, Giovanni sapeva che per riuscire a rispettare gli orari doveva accelerare in alcuni tratti, non fermarsi alle strisce pedonali anche se c'era qualcuno che voleva attraversare ed evitare di prendere semafori rossi. Nell'ultima tratta, dopo aver raccolto l'ultimo bambino, mi sedevo davanti, sul sedile in fianco a lui e dopo i primi giorni avevamo già preso un po’ di confidenza.
Conoscevo ormai anche i nomi dei bambini, che mi avevano presa in simpatia, eravamo diventati un bel team.
Il lavoro mi piaceva e ogni tanto per riempire il tempo tra il primo e il secondo turno, il titolare mi chiedeva di fermarmi a pulire gli autobus che usavamo per il trasporto, Non era contemplato nelle mie mansioni ma mi pagava in nero e fuori contratto e mi andava più che bene. Mi occupavo dell'interno, aspiravo i sedili di velluto a righe colorate, pulivo i vetri dentro, mentre Giovanni si occupava dell'esterno.
Un giorno pioveva e Giovanni mi aiutò a pulire l’interno visto che fuori era inutile pulire e mentre io passavo i sedili, lui puliva i vetri e ci trovammo così a chiacchierare condividendo un po’ delle rispettive vite private.
Io separata, lui “uccel di bosco“, eterno latin lover cinquantenne molto appetito dalle donne, ma questo era evidente. Eravamo soli così allungo complimenti sulla mia fisicità, sul mio fondo schiena e sul décolleté, niente di offensivo naturalmente era molto delicato e attento alle parole e mi fece piacere ricevere i suoi complimenti anche perché era da molto che non avevo rapporti con gli uomini dopo la tragedia di mio marito, avevo quasi dimenticato come si flerta e si seduce un uomo, e risposi a tono alle sue provocazioni senza trascendere ma con arguzia
La mattina seguente, lasciati i ragazzi a scuola ritornammo in deposito con l’incarico di pulire due pullman che da lì a poco sarebbero partiti.
Nel ménage lavorativo ormai Giovanni mi provocava con apprezzamenti sempre più espliciti, che accoglievo soddisfatta e il mio ego saliva giorno per giorno, ero stupita come riuscissi a provocarlo malgrado mi sentissi letteralmente poco adeguata dopo le mie tragedie familiari.
Finito il lavoro andammo nella saletta dei distributori per prendere il caffè, inserii la chiave nel distributore : "Come lo vuoi? lungo o corto?", chiesi senza malizia, accorgendomi subito dopo della battuta a doppio senso, "A te come piace?" rispose lui sornione “Lungo" risposi, facendogli l'occhiolino.
"Come questo?" fece, dopo essersi abbassato la cerniera e tirato fuori il membro dai pantaloni. Arrossii, rimasi un attimo interdetta, senza proferire parola lui si avvicinò furtivo e in un attimo mi ritrovai con il suo uccello in mano. Non lo rifiutai, lo racchiusi nella mano e iniziai a massaggiarlo. Mi circondò il collo con la mano, avvicinò la sua bocca alla mia e mi baciò.
Risposi mettendogli la lingua in bocca e continuando a massaggiargli il cazzo, che sentivo ingrossarsi sempre più sotto le mie dita, mi eccitava l'idea di sentirmelo tra le mani, la passione e la foga presero il sopravvento, e al caffè che ormai era sceso non ci pensammo più.
I nostri istinti chiedevano di essere soddisfatti. Alzai la maglietta e abbassai le coppe del reggiseno, senza slacciarlo, i capezzoli erano diventati turgidi sotto i suoi polpastrelli, lui li toccava e li ruotava contemporaneamente, strizzandomi il seno con movimenti ritmici.
Mi stavo eccitando come non mai, iniziai a mugolare e presi a masturbarlo, lo stringevo tra le dita, roteavo il pollice sopra la cappella, era diventato di marmo, allora mi inginocchiai, schiusi le labbra e passai la punta della lingua tutt'attorno alla circonferenza della cappella, ogni tanto mi fermavo a trastullargli il frenulo, mentre con l’altra mano gli massaggiavo le palle turgide, talmente gonfie che sembrava stessero per scoppiare, gli presi il cazzo e me lo infilai in bocca, andando su e giù più dolcemente finché sentii la sua asta innervosirsi e liberare in gola la sua sborra calda e dolce con un grido di piacere. Continuai a leccarlo, gustandolo tutto per bene, senza far cadere nemmeno una goccia di quella crema dolce e calda.
Mi alzai mi ricomposi e rimisi subito il seno al suo posto, in lontananza già si sentiva l’arrivo di un altro pullman, "Guarda che avanzo!" dissi decisa, lui annuì con un gesto del capo e rispose :” Non mancherò” e scoppiò a ridere, seguito da me che lo apostrofai : “sei un gran… monello”.
Da quel giorno, la pausa caffè diventò il nostro attimo di svago, che chiamammo il caffè della sveltina.
Durante il lavoro eravamo perfetti sconosciuti per non dar adito a chiacchiere, ma finito il turno approfittavamo del tempo libero per scaricare le nostre tensioni.
Una sera si spinse più in là e mi diede appuntamento al parco del paese, con una richiesta trasgressiva: voleva che mi presentassi al parco con un vestitino leggero senza biancheria intima.
Non indugiai anche perché era una mia fantasia ricorrente e di lunga data, ma che non ero mai riuscita a soddisfare, e fantasticavo di sentirmi come una puttanella che va ad adescare il cliente.
Arrivai in macchina e parcheggiai in penombra, presi il sentiero in ghiaia del parco, camminare con i tacchi nella ghiaia mi conferiva un'andatura vistosamente sculettante.
La mia patata era fresca e umida per l'eccitazione, sentivo le labbra sfregarsi tra loro al ritmo dei passi e il fatto di averla appena depilata per l’occasione mi faceva sentire ancora più nuda.
In fondo al vialetto vidi un'ombra seduta sulla panchina, mi avvicinai timorosa, era lui, aveva scelto l’unica panchina senza illuminazione.
Lo salutai, rimasi ferma in piedi davanti a lui aprendo il cappotto gli chiesi: “Ti piaccio?",
Un "Wauuuuu" a gran voce fu la risposta e mi infilò la mano sotto alla gonna, in cerca di conferma agli ordini che mi aveva dato.
Con un sorriso di compiacimento divise con due dita le grandi labbra già bagnate frementi per l’emozione e sfregò l'interno con movimenti brevi e delicati.
Si alzò in piedi: "Così ti voglio!" mi sussurrò all'orecchio prima di baciarmi, mentre le sue mani cercavano l’altra conferma: il reggiseno che non trovò, avevo esaudito docile e servile i suoi ordini e vidi l’eccitamento salire nei suoi occhi ancora di più.
Ci dirigemmo alla macchina con l'intenzione di andare a fare una passeggiata romantica verso il mare. In macchina mi alzò la gonna, esponendo la mia nudità, guidava e con a mano destra giocava con il mio grilletto, lo girava tra le dita, lo solleticava, lo sfregava tra i polpastrelli, senza fermarsi un momento.
Se avesse continuato così sarei venuta lì sul sedile… per non rovinare il momento gli fermai la mano e gli offri il seno, prese a giocare con il mio capezzolo sinistro mentre mi massaggiavo il seno destro, lo stavo caricando per bene, quando voglio so essere decisa e diretta…!!!.
Parcheggiammo non lontano dal lungomare e andammo e prendere il classico gelato, un cono, che mi leccavo ammiccante in mezzo alla gente.
Guardavo “Giò” e leccavo il cono come a mimare l’atto sessuale, lui mi guardava compiaciuto e notai che alcuni sguardi di passanti sembravano aver capito la mimica, il che mi portava una eccitazione enormemente!
Mano nella mano andammo in spiaggia a piedi scalzi e alla fine degli stabilimenti e lontano dalla luce degli hotel aprimmo una sdraio e ci stendemmo sopra ci abbracciammo e cominciammo a baciarci.
Baci lunghissimi, lingue come spade in duello, entravano e uscivano dalle bocche , la sua lingua si distraeva spesso e andava a scoprire nuovi confini, il collo, l’orecchio fino dentro, per poi scendere, scostare il vestito per leccarmi i capezzoli che diventavano sempre più duri.
Non resistevo più, gli presi la testa e lo spinsi più in giù, indicandogli dove doveva leccare. Ubbidì all'istante mi aggrappai con le mani sul bordo superiore della sdraio e spalancai le gambe, la sua bocca era già lì, davanti alla mia fica, pronta e aperta che aspettava la sua lingua.
Due colpi e mi salì un brivido lungo la schiena, gli addominali si tesero.
La sua lingua non si fermava mai era come un mulinello, con le mani mi accarezzava le caviglie, saliva lungo i polpacci e poi le cosce, con le dita mi allargò la figa per far spazio ancor di più alla lingua, il clitoride si indurì fuoriuscendo dalle piccole labbra, lo prese in bocca e lo bloccò tra le sue labbra, tirandolo su e giù. L'eccitazione aumentava, mi aggrappavo sempre di più alla sdraio, tremavo dal piacere, sentiva il mio piacere e non mollava la presa, mi stava masturbando con le labbra, stavo per venire e lui aumentava la frequenza, voleva possedermi solo con la bocca e ci stava riuscendo.
Sentii un dito che massaggiava la fica vogliosa e dopo poco un altro dito entrarmi dolcemente nel culo, e immediatamente cominciai a schizzare come una fontana, allontanò il viso in tempo e mi penetrò con due dita, stantuffandomi la figa su e giù, un effluvio di umori schizzavano dal mio ventre come non mai, mi tremavano le gambe senza controllo anche dopo essere venuta, svuotata completamente, sembravo in piena crisi epilettica, una crisi di piacere orgasmico, il cuore batteva a mille, sentivo un caldo intenso l'esplosione di una bomba.
Dovetti stare cinque minuti distesa a recuperare le forze e un respiro normale, faticavo persino a ricompormi. Restai lì immobile sul lettino per qualche tempo, distesa oscenamente con le gambe aperte e le tette al vento.
Lui nel frattempo si accese una sigaretta mi guardò e disse: "Anch’io mi sento così dopo che mi fai venire con la tua bocca. Adesso siamo pari!" e scoppiò a ridere seguito da me. Ci alzammo e proseguimmo la camminata sul lungomare.
Mi sorreggeva perché ero ancora un po’ barcollante e in stato confusionale, in fondo alla spiaggia balenava una luce blu intermittente, era il Don Pablo, una discoteca, ci avviammo ed entrammo per prendere un drink.
Io presi un Americano lui un Baileys + Sambuca, uno SBORHAUS... come lo chiamava lui, ammiccante che mi porse per un assaggio visto che non lo conoscevo era molto buono.
Finito il drink ci dirigemmo al parcheggio per rientrare per allietare la serata percorriamo la strada centrale dove c’erano i negozi aperti e luccicanti illuminati di luci di mille colori, passammo casualmente davanti ad un sex shop, e Giorgio mi invitò ad entrare per curiosare, non ero mai stata in uno di questi negozi. Entrammo e si apri un mondo!
Lui si fermò davanti a una vetrinetta e chiese informazioni alla commessa, io sbirciavo la lingerie, bellissima e particolare e lo vidi pagare alla cassa, la commessa fece un pacchettino, "Cosa hai preso?" chiesi curiosa, mentre uscivamo dal negozio, "Un regalino per te" rispose, allungandomi il pacchetto, lo aprii e ne uscì un perizoma super ridotto, e un'altra cosa strana, che non avevo mai visto, "E questo cosa è?" chiesi sventolando l'aggeggino sconosciuto. "È una fettuccina vibrante e un telecomando con cui posso farla vibrare”.
Mi girai verso il muro per non essere osservata e con nonchalance sollevai la gonna quel tanto necessario per infilare la mano sotto e inserii senza esitare la fettuccina.
Mentre passeggiavamo lui azionava la vibrazione che mi faceva sobbalzare. camminavo a fatica, sentivo questa cosa strana ma piacevole che mi eccitava, un bel gioco erotico
Salimmo in macchina e durante tutto il tragitto Giorgio continuò ad accendere e spegnere la fettuccia a suo piacimento.
Quando sentiva che il mio piacere saliva, la bloccava, poi ricominciava, stava continuando il gioco della sdraio senza metterci la lingua però, lo imploravo di spegnere l’aggeggio altrimenti avrei allagato la strada ma non mi ascoltava, arrivammo presto al parcheggio del parco e ci salutammo con la promessa:
"Questa me la paghi!" dissi e ci accomiatammo!!!
Continua ….
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